
La Grande Guerra
La Pro Loco Ormelle in collaborazione con la scuola di musica gli Orkestrani e la parrocchia di Tempio di Ormelle, propone una serata storico culturale a cent'anni dalla fine del primo conflitto mondiale per conoscere la storia, avvenimenti, curiosità e aneddoti che hanno segnato il nostro territorio. Quale eredità ci ha lasciato la guerra? Lo scopriremo il 30 novembre presso la chiesa parrocchiale di Tempio di Ormelle alle ore 20,45 con i racconti di Vito e Bruno Marcuzzo elettronica soavi note degli alunni della scuola di musica gli Orkestrani.

La Battaglia finale sul Piave
Le forti piogge che colpirono il Veneto nell'ottobre del 1918 costrinsero Armando Diaz a cambiare il piano iniziale dell'offensiva sul Piave. A questo primo contrattempo si aggiunse in seguito un forte temporale, scatenatosi proprio il 24 ottobre, che rinviò ulteriormente l'inizio delle operazioni e mise in difficoltà sia il generale Giardino sul Monte Grappa sia i Gordon Highlanders, il contingente britannico che nella notte del 23 era riuscito ad occupare le Grave di Papadopoli grazie all'aiuto dei gondolieri di Venezia.
Il piano iniziale prevedeva la costruzione di otto ponti: uno a Vidor, tre nella zona compresa tra Fontana del Buoro e Moriago (a nord del Montello), uno fra Santa Croce e Falzé ,due nei pressi di Nervesa e l'ultimo più a sud, nella zona delle Grave. Se la situazione si fosse dimostrata estremamente favorevole, il Comando Supremo avrebbe ordinato l'installazione di altri 12 passaggi. Ma in quelle ore la corrente delle acque era talmente forte che fu impossibile costruire i ponti di barche fino alla riva sinistra.
Dopo due giorni di immobilità, il 26 ottobre i soldati della Decima Armata riuscirono finalmente a compiere il passaggio presso le Grave e ad attaccare la prima linea austro-ungarica. Più a nord l'Ottava e la Dodicesima Armata costruirono gli altri sette ponti di barche ma la corrente e le bombe asburgiche li distrussero nella notte, isolando così i soldati che erano riusciti ad arrivare sulle teste di ponte nel pomeriggio. Con grande tenacia, il giorno seguente venne ristabilito il passaggio di Fontana del Buoro e fu così possibile consolidare una seconda testa di ponte tra Mosnigo e Sernaglia.
Il generale Caviglia, a capo dell'Ottava Armata, si rese conto che gli altri ponti non sarebbero stati ripristinati
velocemente e quindi ordinò di utilizzare quello delle Grave. In questo modo il 18° Corpo, una volta giunto sulla riva sinistra, poté puntare direttamente verso Santa Lucia e Conegliano, liberando così la strada ai soldati rimasti bloccati nei pressi di Nervesa e di Priula. Il piano di Diaz stava riuscendo: l'obiettivo strategico di spezzare in due il fronte austro-ungarico all'altezza della strada che portava a Vittorio Veneto era stato raggiunto.Borojevic intuì che la situazione stava precipitando ed ordinò ai suoi uomini di ritirarsi verso il fiume Monticano, tra Vittorio Veneto e Motta di Livenza. Il 29 ottobre vennero allestiti altri due ponti che permisero agli italiani di trasferire sulla riva sinistra la maggior parte delle truppe e dell'artiglieria pesante. Nel frattempo le colonne più avanzate lasciarono alle spalle la riva sinistra del Piave e marciarono verso nord-est. La Brigata Piacenza raggiunse Susegana e in serata Conegliano. Senza mai fermarsi, dopo 17 ore di marcia forzata, alle 10.30 entrò a Cozzuolo, uno dei due centri abitati che formano Vittorio Veneto.Contemporaneamente il Reggimento Lancieri di Firenze giunse a Serravalle (il secondo centro di Vittorio Veneto) incontrando ancora piccoli gruppi di soldati austro-ungarici. Per tutto il giorno si registrarono degli scontri tra le truppe italiane che affluivano sempre più numerose e quelle asburgiche, rifugiatesi sulle alture circostanti. Nella notte però anche queste ultime retroguardie abbandonarono la città veneta.
La ritirata austro-ungarica dopo la Battaglia Finale
La sera del 24 ottobre l'Imperatore Carlo I venne informato che la resistenza del "Gruppo Belluno" sul Monte Grappa stava dando i suoi frutti. Per quanto disperata, in cuor suo confidò che la situazione non fosse del tutto compromessa e che tutto il fronte potesse reggere unito all'offensiva italiana. Ma appena iniziarono le operazioni sul Piave capì che non c'era altro da fare: il 27 ottobre informò Guglielmo II che avrebbe chiesto ai Paesi dell'Intesa una pace separata.
Quando iniziò l'attacco sulle Grave di Papadopoli le truppe austro-ungariche si fecero prendere dal panico e molti soldati, ancora prima di iniziare il combattimento vero e proprio, iniziarono a ripiegare verso est senza alcun coordinamento. I disertori si moltiplicarono nelle ore seguenti e un intero reggimento ungherese che si trovava di fronte alla testa di ponte francese si arrese in massa alla Dodicesima Armata. Il generale Borojevic ordinò quindi un primo arretramento di 7 chilometri.
La mattina del 30 gran parte delle truppe italiane aveva attraversato il Piave e le avanguardie stavano per arrivare a Vittorio Veneto. Borojevic fece arretrare la Quinta e Sesta Armata verso il fiume Monticano ma nelle ore seguenti decise di abbandonare tutto il Veneto schierandosi dietro la linea del Livenza.
Ma anche qui non ci fu il tempo di attendere gli italiani. La guerra era persa e ulteriori tentativi di resistenza non avevano più senso. Il generale Arz von Straussemburg diede quindi ordine di ritirarsi immediatamente e definitivamente dal fronte italiano.
3 novembre 2018: l'armistizio di Villa Giusti
Il 31 ottobre 1918 i generali austro-ungarici e quelli italiani si incontrarono a Villa Giusti, alle porte di Padova, per iniziare a discutere le condizioni di pace. In accordo con gli alleati, l'Italia sottopose all'Impero asburgico un armistizio che si basava sulle richieste del Patto di Londra. Veniva quindi formulato il diritto dell'esercito di occupare tutte le terre austro-ungariche sul litorale adriatico, la riduzione dell'esercito a 20 divisioni, la consegna del 50% dell'artiglieria in loro dotazione, la liberazione immediata dei prigionieri e il ritorno in Germania delle truppe tedesche entro due settimane.
Carlo I, informato dai propri emissari, non poté far altro che accettare queste condizioni e quindi l'armistizio venne firmato alle 15.20 del 3 novembre 1918. Il "cessate il fuoco" sarebbe entrato in vigore alle 15 del 4 novembre, mettendo così ufficialmente fine alla Grande Guerra dopo quasi 3 anni e mezzo. Anche se non direttamente, questa firma sancì pure la fine del secolare Impero d'Austria-Ungheria che si disgregò sotto le inarrestabili onde dei movimenti nazionalisti.
Nel frattempo in Veneto, Trentino, Alto Adige e Friuli gli eserciti non si erano fermati. Al contrario, quello austro-ungarico cercò di ripiegare mentre quello italiano si lanciava al suo inseguimento in modo da occupare quanto più territorio possibile. Il 1° novembre un proclama del generale Armando Diaz venne lanciato sulle terre occupate l'anno precedente: si annunciava che ben presto l'esercito italiano sarebbe arrivato in nome dell'Italia.
Ad ogni armata venne affidato un settore: la Prima doveva avanzare verso Trento, la Sesta puntare su Egna (Sud Tirolo), la Quarta su Bolzano mentre l'Ottava doveva risalire il Cadore, l'Agordino e occupare infine Brunico e San Candido. La Settima Armata ebbe il compito di impossessarsi della zona di Mezzolombardo (a nord di Trento), la Dodicesima di controllare la conca di Feltre mentre la Decima e la Terza (che venne definitiva "Armata Invitta" per non essere mai stata sconfitta sul campo) ebbero come obiettivo il fiume Tagliamento ed il Friuli.
Quel giorno fu particolarmente favorevole all'Ottava Armata che risalì il fronte dolomitico e riconquistò Belluno, Ponte delle Alpi e si diresse verso est, a Longarone e Pieve di Cadore. Sull'Altopiano di Asiago i reparti d'assalto ruppero in più punti la linea di resistenza austro-ungarica specie nella zona del Monte Sisemol, della Val Ronchi, del Monte Longana e del Monte Nos. Una divisione britannica invece ebbe molte più difficoltà a sfondare le posizioni ancora esistenti a Camporovere, sul Monte Rasta e sul Monte Interrotto. Solo nella notte, dopo un'azione di aggiramento, caddero le fortificazioni del Monte Interrotto e i soldati britannici si unirono alla colonna italiana proveniente da Roana.
La Prima Armata iniziò le operazioni sul Massiccio del Pasubio per poter liberare la strada verso Trento. Dall'altra parte del fronte, la Decima e la Terza Armata assicurarono i passaggi sul fiume Livenza ed entrarono a Sacile. Le avanguardie, formate dalle truppe della Cavalleria, superarono anche queste linee e giunsero nei pressi di Roveredo e Pordenone.